Versi
L’ALBA DELL’UOMO
Da un chiarore lontano
spunta l’alba
repentinamente
e colora di luce il nuovo
mondo.
Intorno,
piante stecchite
animali selvatici
grotte e caverne buie.
Si svegliano anche gruppi di
scimmie
sono nude come vermi della
terra,
schiamazzano
litigano
si riuniscono.
Qualcosa sembra dire loro:
“Uniamoci
e combattiamo insieme”,
una battaglia che durerà nei
secoli
sino alla fine dell’universo
se fine ci sarà.
MIA EVA
Mia Eva! Inizio della fine
sei tu la prima donna
l’origine delle mie
perversioni
il pretesto per la mia follia
la madre dell’animale che è
in me,
hai creato il mio istinto che
ormai è morboso
il mio desiderio che è già
sporcato.
Nel paradiso terrestre,
trascinato indietro di mille secoli
io ti osservo nuda,
allucinante visione,
misteriosa e invitante.
Giochi con le armi della seduzione.
Dammi la mela ti prego, che
aspetti?
voglio mangiarla!
è eccitante peccare
se tu mi sei vicina, nel
pericolo mi sento al sicuro.
Dimmi dov’è il serpente,
l’hai calpestato o no?
Voglio essergli amico e non
mi farò esorcizzare.
Non mi importa di rimanere
dannato per l’eternità
di lavorare, sudare e morire
di bruciare nelle fiamme
dell’inferno,
l’importante è averti
accanto.
Sei tu la causa del mio male
ma lo stesso male è ambiguo
cambia forma quando credo di
conoscerlo.
Dal giorno che mangiasti
quella mela
ogni uomo è sempre guidato
dalla follia d’una donna.
LA RIGENERAZIONE
Albero solitario
che mi aspetti in un campo di
grano,
io ti vado incontro
e ai tuoi rami
mi appendo.
Ora sono appeso ai tuoi rami
e dondolo felice.
Tu ed io siamo un solo essere
una sola forma.
IL MIO FUNERALE
Come quando ci si toglie un
abito
così avevo lasciato il mio
corpo con i suoi pesi
ma ero vivo in una dimensione di immortalità e benessere.
Lento veniva trasportato
un corpo straccio
dentro quella bara
avara di ghirlande,
quel corpo era il mio
sì, ero io.
E quel carro funebre
attraversava le strette vie
che portavano a quel piccolo
cimitero di collina
dove io fui sepolto
e riposo di già.
Scialli neri
vecchie facce coperte da veli
silenziosa processione,
dormiva mio padre
piangeva mia madre
quell’accompagnamento era il
mio
sì, era il mio
ma io non capivo, ero felice
fuori dal tempo
al di là dello spazio
e dall’alto osservavo stupito
quello strano spettacolo
sulla mia morte.
COINCIDENZE
Seguo una linea grandiosa
un’acutezza di senso
capace di rendere concreta
persino la fantasia.
E la visione
che parte generata dalla mia
anima
si spande al di là degli
orizzonti,
al di sopra delle piccole
cose domestiche
ed è bellissimo
sentire come il senso
dell’infinito
coincida fino a fondersi in
uno stesso clima
con le cose più piccole.
NULLA È LONTANO
Grandezza e malinconia
interiore
e povertà del mondo presente
ma la trasposizione mia
muta i termini del dissidio
ed è il bisogno di sognare
che rende grande l’opaco
atomo terreno
illuminandolo di altre
verità.
La fantasia ora avverte nel
mondo
più segreti e profondi
significati
dà immagine all’eco
si spande in altri mondi
si dissolve nell’immensità.
Ormai nulla è lontano dal mio
spirito.
IL MARGINE SILENZIOSO DELLA
MEMORIA
Nel margine silenzioso della
memoria
che non è presente in me,
trovo rivelazioni e scoperte
un ricchissimo terreno umano.
La poesia restituisce alla
vita
i nodi segreti
i ricordi assopiti
le reazioni più remote,
fa conoscere una nuova
dimensione del reale,
a volte contro la ragione
a volte in armonia con essa,
sempre con libertà.
EGOISMO SOLITARIO
Sono il re
del mio egoismo solitario
che ha coscienza
soltanto per esprimerla in
privato
in una totale esaltazione dei
sensi.
Io non cerco più
un rapporto dialettico tra me
e gli altri
e la mia concezione
estetizzante della realtà
diviene dominio sulla folla,
forma una solitudine privata
dove il mio pene riaffiora
docile tra le mie mani
fino a divenire una strana
sensualità
fuori dai sensi
trasformata in un processo di
spiritualizzazione.
ALLA DERIVA
È grigio il clima del perenne
essere.
Tutto è caduto
le speranze perdute, le
preghiere vane
le parole inutili, l’amore
illuso
le primavere sfiorite, gli
ideali mortali.
Ma non v’è più dramma in me
in questo continuo appassire
e morire
ma completo abbandono.
Accetto di andare alla deriva
lasciandomi cullare dalla
marea del tempo
in cui tutto si dissolve
fino a compiacermi del mio
dolore.
È dolce sentirsi vittima,
indifeso, inascoltato.
Capire che persino la vanità
delle cose
diventa pura armonia.
VERRÀ POI LA MORTE
La mia vita passerà molto
presto
drammatica e patetica
e con essa anche la sua
ricchezza
fatta umana dalla fatica.
Il tempo,
un male che impoverisce la
vita,
mi toglie ogni energia
vitale,
il mio corpo senza speranza e
senza salvezza
si rivolta, si risparmia,
geme
s’illude ancora di strappare
giorni, ore, minuti alla fine.
Ma vi è un altro male
subdolo e ancor più
disperato:
quello di essere
completamente solo
nell’umana comprensione di sé
costretto a tacere e fingere,
a rivedere il passato
riflesso
nelle lacrime degli occhi che
piangono
in un profondo bisogno di
confidenze.
Triste appare allora il volto
della memoria
come immobile silenzio che
tende all’astrazione.
Verrà poi la morte del corpo
il distacco amaro.
LA MIA SOLITUDINE
Schivo mi stupisco di vivere
mi sento staccato ed
incompreso
da tutti gli altri uomini.
Mi aggrappo agli scarti della
vita
tutto il resto è
inconsistente.
Non mi aspetto comprensione
né consolazione né tregua
consapevole della mia
solitudine.
Ho scelto liberamente
l’aridità e il deserto
e osservo le cose della vita
prosciugate e fisse
come simboli magici in una
luce rarefatta.
LO STRAZIO D’ESISTERE
Urlo di masse
voci, passi, gesti
tra pietà curiosa e
fanatismo,
irrazionale catena di incubi
e fobie
ai margini dell’ossessione.
La personalità umana si
lacera
il senso dell’alienazione
incombe
la coscienza si smarrisce.
Spinto da una sofferenza
solitaria e indecifrabile,
contagiato dalla multanime
esistenza
affogo lentamente nel caos
e non ho scampo
se non nella perfetta
solitudine.
LA MIA FOLLIA
L’infinita miseria della vita
la solitudine del mondo
la caducità della fama che
passa.
E poi la morte delle persone
care
l’incombente paura delle
malattie
il continuo vagabondare senza
pace dell’uomo
acuiscono la mia sensibilità
ma accrescono i sintomi della
mia follia.
Cupe ombre di pazzia
si addensano minacciose su di
me
travestite da un’atmosfera di
lucida estasi.
È il dramma della mia ansia
angosciante
la disperazione di tutto il
mio essere
forse creato da Dio
ma poi lasciato a se stesso
privo d’identità, privo di
vita
impossibilitato di comunicare
di capire e farsi capire.
LA MIA MODESTA FORMA UMANA
Ormai ridotto ad accettare la
mia condizione
di uomo consapevole del
proprio destino,
sento tristemente che la vita
in me
invecchia inesorabilmente
che altri sentimenti, altre
idee
mi nascono nell’anima,
che arte e vita procedono
insieme,
e la poesia della mia vita
solitaria
diventa essa stessa memoria.
Non è più la storia d’un uomo
che cerca l’illusoria
grandezza dell’universo
ma semplicemente la povertà
di chi
insegue soltanto la sua
modesta forma umana.
Affido alla mia scrittura,
unico ed ultimo appiglio
rimastomi,
la speranza di trovare ancora
punti luminosi sul mio
cammino terreno
proiettandomi fin quando mi
sarà possibile
e ne avrò ancora la forza,
nel tempo e nell’universale,
solo così la realtà della
poesia
potrà apparirmi più ricca di
significato
di quella della vita.
DESIDERIO D’INFINITO
Un sentimento dell’esistenza
umanissimo
mi scorre dentro,
la mia spiritualità
è attraversata da malesseri
sublimati
da torpori e da abbandoni,
trasalimenti e sofferenze
confessate,
si distacca dalle cose
terrene
diventa consapevole della
fugacità umana,
è poesia per questo suo
fluire
in mezzo alla vita
non ancora del tutto
purificata
non ancora donata a una fede.
Le mie parole sono ultime
gocce d’una vena
che ha già dato ciò che
poteva dare.
La strada che porta alla
bontà
mi libera dall’ansia
restituendomi un desiderio
d’infinito.
LA FAVOLA DI UNA PICCOLA
LACRIMA
Da una bimba e un pianto
nacque lei
piena di paure e ingenuità
chiara e trasparente
dai suoi occhi si affacciò
e da quelle ciglia sottili
piano piano scese giù.
Attraversò quel viso
dai lineamenti dolci
pulito di bambina
e per il mondo
sola sola
s’incamminò.
Ma era troppo ingenua
non conosceva il male
e la sua vita
era già in pericolo.
E passarono in fretta gli
anni
e anche le stagioni
venne presto l’inverno
portando con sé la pioggia.
Tante grandi gocce
cadevano giù dal cielo
tutte insieme,
erano prepotenti
si spingevano tra loro
si bisticciavano.
La dolce lacrima ben presto
si trovò sommersa
cercò di ribellarsi
ma era troppo buona
e non aveva la forza.
Così per non morire
pensò di tornare
dentro quegli occhi
dov’era nata.
Sola e stanca
cercò quella bambina
la cercò dovunque
e la trovò alla fine.
Ma era ormai cresciuta
non era più bambina
il suo viso era truccato
non si ricordò di lei
e la cacciò via con forza.
Così la povera lacrima
restò proprio sola
in balìa di tutti
senza alcuna difesa.
Vagava per il mondo
ignorata da chiunque
sembrava invisibile
trasparente
proprio come una lacrima.
E venne il sole
e con la sua luce
forte forte
la illuminò.
Ma era ormai vecchia
allo stremo delle forze
e lentamente
si sciolse da sola.
Finisce così
la sua insignificante vita,
la sua insignificante storia
e nel silenzio,
la gocciolina
muore.
Così è il mio destino
la storia di quella piccola
lacrima


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